Thinking
Dalla paura al piano d’azione: come funziona davvero un workshop sull’AI
Come si passa da ansia e confusione a un piano d’azione concreto sull’AI?
In questo secondo capitolo raccontiamo l’esperienza del workshop Tangible, progettato per aiutare i designer a iniziare sul serio, e con più consapevolezza.

Nel primo articolo abbiamo raccontato perché, per integrare l’AI nel design, serva un approccio diverso: meno wow-effect, più riflessione strutturata, più sperimentazione vera.
In questo secondo capitolo, facciamo un passo indietro e apriamo il dietro le quinte del workshop che abbiamo progettato per stimolare questo cambio di passo.
Esploriamo la struttura che lo regge, il filo che unisce gli esercizi e come, da una semplice sessione guidata, possa nascere un nuovo modo di pensare il design.
Perché sì: l’AI può generare interfacce, ma prima ancora può generare domande, intuizioni, consapevolezza. Se la affrontiamo con il giusto mindset, può aiutarci a rafforzare proprio ciò che ci rende umani.
Quello che segue è il racconto di un esperimento che, in Tangible, stiamo provando a trasformare in metodo.
L'architettura pedagogica del workshop
La sequenza dei cinque esercizi non è casuale.
Parte da un’esplorazione emotiva (speranze e paure), per creare uno spazio sicuro in cui aprirsi. Poi si passa alla riflessione strategica (le domande sul futuro), si entra nel concreto (ripensare i workflow), si lascia spazio alla visione (i superpoteri di design) e si chiude con un piano d’azione personale.
Questa progressione funziona ricalca un processo naturale: dal noto all'ignoto, dall'emotivo al razionale, dal generale allo specifico.
Ogni esercizio prepara il terreno per il successivo, in un percorso che porta gradualmente dall’incertezza alla sperimentazione consapevole.
L'effetto moltiplicatore
Abbiamo progettato il workshop per generare un impatto che vada oltre il singolo partecipante.
Il confronto collettivo crea uno spazio condiviso in cui le paure si normalizzano e le speranze diventano più concrete. Le mappe prodotte nei gruppi restituiscono una visione comune e i piani d’azione individuali si rafforzano grazie all’accountability del team.
Inoltre, la natura pratica degli esercizi significa che i partecipanti escono con strumenti utilizzabili immediatamente. Hanno condiviso alcune idee sul futuro che prima sembravano utopia (o distopia), hanno puntato aree specifiche del loro workflow da migliorare, gettano le basi di una roadmap chiara per l'integrazione dell'AI.
Il vero obiettivo: cambiare il mindset
A nostro avviso, però, il valore più profondo del workshop non sta solo negli strumenti, ma nel tipo di mindset che aiuta a coltivare.
Un approccio in cui l’AI non è vista come una minaccia né come una soluzione magica, ma come un alleato progettuale.
Un mindset che mette al centro competenze nuove, ma umanissime:
- pensiero critico amplificato perché magari l'AI può generare moltissime opzioni, ma serve un occhio esperto per valutarle e selezionarle
- creatività direzionale invece di partire da zero, in un potenziale futuro in cui designer imparano a dare direzione e vincoli (creativi? di brand?) all'AI per ottenere risultati più rilevanti
- iterazione intelligente in quanto è vero che l'AI eccelle nell'esplorazione rapida, ma il designer umano guida il processo iterativo verso obiettivi significativi
- controllo della qualità che si evolve e nuove competenze necessarie per identificare bias, errori, e limitazioni nell'output dell'AI
E se fosse un framework più universale di quanto pensassimo?
Quello che rende questo workshop particolare è la sua adattabilità. Sebbene sia nato per i UI designer, il workshop tocca dinamiche che accomunano molte professioni: affrontare il cambiamento, esplorare nuove opportunità, definire nuovi ruoli, apprendere in modo strutturato.
Perché non testare questo formato fuori dallo UI Design? Con qualche adattamento, potrebbe funzionare anche per:
- UX designer (sostituendo le fasi del workflow con quelle della ricerca, della prototipazione, del test...)
- service designer (mapping dei touchpoint, blueprint, stakeholder analysis...)
- ruoli amministrativi, tecnici o artigianali, in cui l’AI entra nei processi con logiche simili: automatizzare il ripetitivo, potenziare il decisionale.
In tutti questi contesti, l’AI viene accolta come supporto nei compiti a basso valore aggiunto e respinta dove serve sensibilità, creatività, relazione mentre il controllo umano viene preservato per relazioni, creatività, e decisioni strategiche.
Il "superpotere" più desiderato sarà sempre qualche forma di "traduttore", che renda comprensibili feedback vaghi, normative complesse o richieste tecniche.

Il futuro è collaborAItivo
L'AI non è destinata a sostituire i designer, ma a cambiare radicalmente il modo in cui lavoriamo. I designer che si adatteranno prima e meglio saranno quelli che avranno dedicato tempo a capire non solo gli strumenti, ma i principi di collaboration uomo-macchina.
Workshop come questi sono solo l'inizio. Il vero apprendimento avviene quando si torna alla scrivania e si inizia a sperimentare. Ma avere un framework concettuale e alcuni esercizi pratici può fare la differenza tra restare paralizzati dall'incertezza e iniziare un percorso di crescita.
L'AI nel design non è una moda passeggera, è una trasformazione permanente del nostro settore. Chi si prepara ora avrà il vantaggio competitivo di domani. Chi aspetta rischia di trovarsi indietro in un mondo che si muove sempre più velocemente.
La domanda non è se l'AI cambierà il design - lo sta già facendo. La domanda è: siamo pronti a guidare questo cambiamento invece di subirlo?
Chissà...