Thinking
L’importanza di una lievitazione lenta
Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, circa 4 anni fa, la nostra idea di design si esprimeva semplicemente applicandola entro i confini delineati dal ruolo in cui volevamo identificarci, dalle nostre competenze e dalle nostre attitudini.
L’inserimento di nuove persone ci ha obbligato non solo a raccontare che cosa facevamo, ma anche come e perché, tutte cose che fino ad allora eravamo abituati a dare per implicite. Questo dialogo ci ha aiutato moltissimo a guardare con occhi nuovi le nostre attività, a esaminarle in profondità, a interrogarci sul tipo di azienda che volevamo essere e sul valore che secondo noi dovevamo far percepire, far comprendere e consegnare ai nostri clienti.
Questa conversazione, inizialmente, seguiva lo schema tipico del “spiegami che cosa fai che provo a farlo anch’io”. In questo passaggio di informazioni e di mano, ci siamo accorti che ogni attività (cosa) che facevamo non solo seguiva un processo preciso (come), ma seguiva anche ragioni precise, dettate appunto da vari principi sia di valore che individuali ed etici (perché).
In “How great leaders inspire action”, celeberrimo TED talk del 2010, Simon Sinek insiste su un concetto molto semplice: per decidere, le persone hanno bisogno di un motivo. Quindi è molto più facile farsi capire se riesci a spiegare il perché di ciò che fai. Il come e il cosa, in quest’ordine, derivano da questo perché.
Il dialogo che abbiamo avviato inizialmente è stato lungo, meraviglioso e, in alcuni momenti, perfino estenuante. Ognuno di noi ha dovuto sforzarsi di ripensare a che cosa stava facendo, poi di raccontarlo al contrario di come era abituato a farlo prima. Infine abbiamo dovuto metterlo a sistema con gli altri, trovando una quadra in cui tutti potessimo riconoscerci.
Inside and outside
Per mettere in ordine tutto quello che stavamo facendo emergere, in questi anni ci siamo confrontati con retrospettive e allineamenti e abbiamo messo a fuoco i punti cardine della nostra cultura.
"Città" e valori individuati nel workshop che abbiamo fatto a maggio 2014.
All'epoca eravamo in 6.
"Città" e valori ridefiniti nel workshop che abbiamo fatto a gennaio 2017.
Questa volta eravamo in 12, di cui 8 persone nuove rispetto al 2014.
Mano a mano che rendevamo espliciti i concetti e le nostre motivazioni, avevamo individuato due aspetti cruciali: uno riguardava la nostra proposta di valore e la promessa che intendevamo mantenere verso i nostri clienti; l’altro riguardava il modo in cui volevamo intendere il lavoro, il tipo di clima, rapporti e relazioni che desideravamo vivere in azienda.
Per questi motivi, con il nuovo brand abbiamo voluto descrivere i servizi che offriamo e qual è la nostra idea di design, ma non solo. Sentivamo il bisogno di definire e raccontare chi vogliamo essere e che cosa ci impegniamo a fare per diventarlo.
Brainstorming. Shitstorming. Delirious. Love.
Queste fasi ci hanno gradualmente aiutato a trovare un codice culturale condiviso, basato su competenze e valori, motivazioni e aspettative, promesse e aspirazioni. Finalmente avevamo trovato un linguaggio comune che quanto più prendeva forma, tanto più ci faceva sentire il desiderio di ridefinire meglio la nostra identità di brand, nonostante tutti fossimo (e siamo tuttora) molto affezionati al nome comune che ci aveva accompagnati fino ad allora.
A questo punto avevamo molti grilli per la testa.
“Era possibile farlo?”
“Perché non provarci almeno?”
“Saremmo mai riusciti a trovare un nome e un’identità che racchiudessero tutte queste idee?”
E poi anche:
“Ma come si trova un nome?“
“Quanto tempo serve?”
“Abbiamo un limite di tempo entro cui decidere?”
“Se riusciremo a trovarlo, come gestiremo il cambiamento?”
Non sapevamo davvero che cosa risponderci e alcuni scenari ci facevano anche un tantino di paura. Perciò abbiamo semplicemente iniziato a provarci.
Abbiamo fissato una serie di incontri di brainstorming totalmente liberi. Ognuno di noi poteva arrivare con qualche idea, suggestione o esempio di brand che gli piaceva, oppure poteva improvvisare. Sono venute fuori diverse idee, alcune buone ma nessuna convincente.
Abbiamo individuato alcuni filoni su cui proseguire le ricerche e ne abbiamo trovati altri che eravamo certi di voler escludere. Ci siamo divertiti e ci siamo messi in gioco, è stato bello ma anche molto tosto. Più di una volta ci siamo detti “Ma chi ce lo fa fare, teniamoci il nostro nome che tanto ormai ci conoscono così…”. Eppure neanche questa risposta ci convinceva del tutto.
Perciò siamo andati avanti finché, un bel giorno, alla (credo) quinta riunione di brainstorming, un po’ stanchi e incerti, spunta una parola, poi un’altra e infine l’ultima, accompagnata da un bel “La metto lì, così non ce la scordiamo”. Ed è calato un silenzio bellissimo.
Avete presente quando tra una folla di persone riconoscete quella giusta per voi e inizia a brillare di una luce tutta sua?
Ecco.
Ci siamo dati un po’ di giorni per pensarci su e lasciarla lì, a decantare.
All’incontro successivo, qualche settimana dopo, era di nuovo lì e nessuno di noi ne stava cercando altre.
Nocciolo, identità, interazioni, audience
Trovata la nostra parola, abbiamo iniziato a cucire l’identità di brand facendoci guidare dal Brand Thinking Canvas. Similmente ad altri, è uno strumento che abilita il dialogo e aiuta a fare ragionamenti condivisi per mappare le risposte a due domande semplici “Chi sei?” e “Qual è la tua audience?”.
La mappa “Chi sei?” ci ha aiutato a ragionare sull’identità di brand partendo dal nocciolo (brand essence, valori, vision e mission, promesse). Abbiamo poi individuato le caratteristiche visive e verbali, che insieme definiscono l’identità del brand. Infine, abbiamo ragionato sulle interazioni che nocciolo e identità devono avere verso l’esterno (persone, talenti e comportamenti, luoghi ed eventi, comunicazioni e canali, partner e collaboratori, tecnologia).
La mappa “Qual è la tua audience?” ci ha aiutato a pensare a chi volevamo rivolgerci, definendo più precisamente che cosa e come volevamo dire ai vari interlocutori che avevamo individuato.
Abbiamo avuto conferma che cultura e identità di brand hanno similitudini e pattern molto evidenti. Il pattern “perché > come > cosa” suggerito da Simon Sinek segue una mappa di domande e risposte simili al pattern “core > identity > interactions” suggerito dal Brand Thinking Canvas.
Sì, cultura e identità sono fortemente complementari.
Una scelta di continuità
“Ma quanto vogliamo e ci sentiamo di cambiare?”
Ce lo siamo chiesti continuamente e, in questo caso, non abbiamo mai avuto particolari dubbi: il nuovo brand non doveva essere percepito come un punto di rottura rispetto al passato, anzi. Doveva e deve esprimere una continuità, perché non siamo cambiati. Siamo solo cresciuti e vogliamo raccontare l’evoluzione fatta. Siamo riusciti a definirci meglio, abbiamo un’idea molto più chiara di quale sia il ruolo e il valore del design per noi, abbiamo messo a fuoco la nostra cultura perché l’abbiamo costruita insieme.
Ora ci sentiamo pronti a raccontarla e rappresentarla con parole e toni comuni.
Post scriptum
Grazie a Mauro Gatti per l’involontario suggerimento per il titolo di questo post.
Approfondimenti consigliati
- How great leaders inspire action di Simon Sinek
- What is a brand? di Davide Folletto Casali
- The Brand Thinking Canvas di Brandling
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