Thinking
Modellare i ruoli. Modellare la cultura.
Dopo avere dedicato diversi anni a confrontarci per definire il nostro modo di fare design, il tipo di azienda che vogliamo essere, i processi e i ruoli di cui abbiamo bisogno, quest'anno pensiamo di essere giunti a una svolta che sentiamo essere importante.
Il modo migliore per capire che valore ha il lavoro fatto è raccontarlo e raccogliere il feedback di professionisti che lavorano nel nostro mercato. All'Agile Business Day 2018 di Venezia abbiamo avuto la nostra prima opportunità, il 15 settembre 2018 Nicolò e io abbiamo presentato "Modellare i ruoli. Modellare la cultura".
Numeri come campanelli
Nel 2016, io e Nick abbiamo partecipato alla Leading Design Conference, interessantissima conferenza su Design e Leadership organizzata da Clearleft. Uno dei talk è stato presentato da Sarah Nelson di IBM Design, che ha parlato di come sono cresciuti mantenendo saldi cultura e processi. Ha indicato una progressione di numeri (di persone) da tenere d’occhio:
- 5 persone: le comunicazioni sono dirette, i processi, metodi e intenzioni sono molto allineati e spesso impliciti. Le relazioni sociali sono simili a quelle familiari;
- 11: iniziano a formarsi dei gruppetti, ma la relazioni e le comunicazioni rimangono ancora simili a quella di una famiglia;
- 20: inizia a essere chiaro che c’è bisogno di qualcuno che segua da vicino le persone. Qualcuno direbbe che c'è bisogno di un responsabile HR;
- 35 è il primo numero campanello: anche se l'ambiente riesce a rimanere informale, i processi e le comunicazioni vacillano;
- 70 è un altro numero campanello: in aziende di queste dimensioni molte persone non si conoscono;
- 150 è il numero di Dunbar, il numero massimo di persone che riusciamo a riconoscere e con cui riusciamo ad avere una relazione sociale non occasionale;
- oltre 150: in aziende di queste dimensioni, è molto probabile che le persone non sappiano quanti ruoli esistano in azienda, quali siano processi, strategie obiettivi generali.
Questi numeri possono variare a seconda del tipo di industria o mercato.
Dicevo che era il 2016.
Eravamo in chiusura di un anno in cui eravamo passati da 7 a 11 persone. Davanti a noi, vedevamo opportunità per aumentare ancora. Ripensai ai 2-3 anni precedenti con un vago senso di allarme, temendo di non aver fatto nulla per evitare la deriva verso un'organizzazione in cui le persone che portiamo dentro non sanno perché sono lì, perché hanno scelto di lavorare con noi e chi sono i loro colleghi. Ma non era così.
Fin dall'inizio, ci eravamo confrontati ciclicamente, usando le retrospettive (di progetto o generali) e le riunioni tra soci non solo per dirci come essere più efficaci o efficienti, ma soprattutto per definire il tipo di azienda che volevamo essere e perché.
Chiuderemo il 2018 in 16 persone e 1 collaboratore. Ci aspetta un 2019 in cui cresceremo ancora un po'. Da un lato ne siamo orgogliosi e felici, dall'altro sentiamo questi numeri risuonarci nelle orecchie: "Attenzione. Fate attenzione.", sembrano dirci. L'attenzione è forse uno dei segnali più autentici del bene che vuoi a qualcuno o a qualcosa. L'attenzione si dedica, richiede ascolto e tempo.
Rebrand, Agile from scratch, Role Matrix
Man mano che crescevamo di numero, ci eravamo accorti che l'allineamento che avevamo quando eravamo in 5 non poteva essere magicamente lo stesso aumentando le persone. Per poter essere trasmesso, tutto l'implicito che ci univa andava esplicitato e comunicato stando vicino alle persone e lavorando con loro. Doveva diventare una cultura sana e un ecosistema permeabile, aperto all'evoluzione.
Dal 2014 a oggi, i segni visibili di questo percorso sono stati il nostro rebrand, in cui abbiamo voluto raccontare intenzioni e modo con cui pensiamo al design e lo facciamo; il reset su Agile, grazie a un corso in cui ci siamo riconfrontati da zero su manifesto, processi, metodi e tool; e la ridefinizione dei ruoli, che attraverso Talent Canvas, conversazioni e matrici, ci ha portato a capire come vogliamo abilitare la crescita delle persone in Tangible e come vogliamo che cresca Tangible.
Due ingredienti chiave della Role Matrix
A inizio 2017, uno dei nodi più critici che tutti quanti stavamo accusando erano le etichette, che possiamo chiamare anche job title.
Lavorando insieme, attività, ruoli e competenze si contaminano. Lo scopri osservando i comportamenti (collaborazione, conflitti, stress o soddisfazioni), ascoltando le conversazioni ("ma questo da mobile non funziona", "guardiamoci insieme", "mi aspettavo lo facessi tu", ...), riflettendo sui risultati ("finalmente abbiamo rilasciato", "andiamo da Ottavino, ci vuole un brindisi", "ma come l'avete fatta questa cosa?", "potremmo farlo anche noi", "nel nostro progetto questo metodo non funzionerebbe"). Tutte queste dinamiche ci hanno fatto crescere e, allo stesso tempo, soffrire periodicamente della Sindrome dell'Impostore. Alla fine, ognuno di noi è diventato più consapevole del contributo che stava portando in Tangible ma, allo stesso tempo, non riusciva a inscatolarlo nell'etichetta con cui aveva iniziato a lavorare con noi. Le conversazioni fatte attraverso i Talent Canvas e il Role Matrix ci hanno aiutato a sciogliere il nodo. Il primo ingrediente decisivo che è nato da queste conversazioni è stato tradotto in una matrice di ruoli divisa in due: una parte descrive i ruoli richiesti dal mercato, l'altra i ruoli Tangible, che sono i ruoli di mercato raggruppati in modo coerente ai nostri processi e alla nostra idea di fare design.
La matrice doveva poi offrire un quadro più chiaro sui percorsi di crescita e rispondere alla domanda "Quali opportunità di crescita ho nel mio ruolo?". Crescere, per noi, vuol dire diventare più maturi ed esperti sia per competenze che per responsabilità. Anzi, più si diventa senior, maggiori sono le responsabilità che si prendono. Questo è stato il secondo ingrediente chiave della nostra matrice: ogni ruolo è descritto a pacchetti di competenze e responsabilità che deve avere, man mano che cresce maturando.
UX come risultato del lavoro di tutti
Tutti i nostri progetti durano diversi mesi e vedono team multidisciplinari impegnati in fasi di ricerca ed esplorazione, ideazione e prototipazione, progettazione e sviluppo frontend, test, controllo qualità e rilascio. Un progetto è il risultato del lavoro di tutti e molti contributi alla User Experience arrivano non solo dalla ricerca o dalla progettazione dell'interazione, ma anche dalla user interface, dalla messa a punto del tono di voice o di un particolare micro-copy, fino alle scelte di una particolare animazione o dallo sviluppo frontend.
Nella nostra community è ormai assodato che parlare di progettazione delle esperienze è inesatto, perché le esperienze sono soggettive e quello che possiamo progettare sono contesti, contenuti e scenari. In Tangible ci siamo anche accorti che il ruolo dello User Experience Designer sbilanciava troppa teorica aspettativa e responsabilità su una sola persona, non rendendo il giusto merito al concreto contributo degli altri, particolarmente decisivo nella fase di messa a terra del risultato finale.
Interaction e Service Designer
Se tutti fanno UX in Tangible, per il ruolo di UX Designer abbiamo deciso di fare un passo indietro e rispolverare l'etichetta di Interaction Designer. Per il mercato, User Experience Researcher e Interaction Designer possono essere due ruoli distinti, ma in Tangible li abbiamo sempre pensati come un unico ruolo: chi progetta deve saper far ricerca e viceversa, perché solo così il Designer riesce davvero a capire che tipo di decisioni dovrà prendere. Inoltre, alcune intuizioni possono arrivare in fase di ricerca solo conoscendo le implicazioni in fase di progettazione e sviluppo.
L'Interaction Designer è capace di conoscere gli utenti, di mappare i lori bisogni e abitudini e di progettare flussi e contenuti di un touchpoint digitale che tengano conto non solo delle persone ma anche dell'infrastruttura tecnologica, della brand identity e degli obiettivi di business.
Il Service Designer sa progettare il singolo touchpoint e sa anche coordinare touchpoint diversi tra loro, per questo per noi questo ruolo non può che essere un upgrade del ruolo di Interaction Designer.
Design Ops
Nella nostra matrice abbiamo anche voluto far emergere un insieme di attività che spesso sono implicite in altri ruoli, ma che fanno capo all’etichetta di Design Operations (abbreviato in Ops), ovvero tutte quelle attività che rendono possibile, efficace ed automatico il lavoro del team di design.
Nelle aziende di prodotto esiste spesso un team di Design Ops, ed esistono ruoli incaricati di queste attività, tipicamente divise in Operations a livello di processo (come funziona il design, come funzionano i processi, i ruoli, il modello di competenze, come sono organizzati i team...) e a livello di esecuzione (quali strumenti, come automatizzare di fasi del design, come costruire ed evolvere i Design System…).
Allo stato attuale abbiamo voluto tracciare e rendere esplicite le attività di Design Ops esecutive, già ad oggi esistenti e relative alla gestione dei Design System dei nostri clienti, e dettagliarne competenze e responsabilità in modo da attribuirle ai ruoli di UI Designer e Frontend Developer.
Percorsi di crescita verticali o orizzontali
Le posizioni oggi descritte sul nostro sito sono rimaste un passo indietro, al momento stiamo decidendo se debbano rimanere esposte pubblicamente così o se sia meglio adeguarli ai nostri equilibri interni.
La descrizione attuale di quei 3 ruoli è il risultato di vari esperimenti fatti in fase di recruiting. In particolare, ci siamo chiesti se dovessimo aprire delle posizioni che descrivessero il ruolo nella sua completezza oppure tagliato per livello di seniority. Abbiamo optato per la prima strada, spostando la valutazione sul livello di seniority in fase di colloquio. Col senno di poi, questa scelta ci ha permesso di lavorare su una descrizione del ruolo per noi piuttosto completa (basata su un modello T-Shape). Con i nostri primi assunti, ci siamo subito accorti che la descrizione del ruolo richiedeva revisioni: i nostri nuovi colleghi usavano questa descrizione sia come test sulle effettive competenze, che come punto di riferimento per la loro crescita e formazione.
Il T-Shape ci ha portato a costruire dei percorsi di crescita generalisti, in cui per un po' di tempo quello del Project Manager sembrava il più alto livello di seniority possibile. Questo modello non era adeguato alla situazione reale che nel frattempo era emersa: dopo due o tre anni di lavoro insieme, abbiamo osservato che c'erano persone naturalmente portate a evolvere verso profili generalisti ed altre che tendevano a dare il meglio di sé nella specializzazione. Questa diversità era ed è preziosa, costringerla nel modello che avevamo pensato inizialmente avrebbe sacrificato il valore portato dagli specialisti e ridotto le loro opportunità di crescita, obbligandoli verso percorsi non adatti a loro.
In Tangible siamo quindi arrivati a proporre percorsi di crescita orizzontali, per esempio da Interaction / Service / User Interface Designer a Design Director, da Frontend Dev a Design Engineer; oppure verticali, per esempio da Interaction Designer a Service Designer, da UI Designer a Brand Experience Director.
Project Manager come percorso, non come promozione
Negli anni abbiamo provato diversi modelli di vendita e oggi quello che usiamo è basato sui team. Il modello che sicuramente escludiamo è quello del body-rental, perché incompatibile con la nostra proposta di valore. Inizialmente, la figura incaricata di comunicare con il Cliente era quella che aveva gestito la trattativa commerciale, quindi era uno di noi soci. Nel corso degli anni, aumentando il numero di progetti, la loro lunghezza e ampiezza, e il numero di persone coinvolte (sia interne che esterne) per realizzarlo, ha iniziato a emergere il ruolo del Project Manager. Per noi è sempre stato un ruolo particolarmente spinoso, essendo intrecciato con quello del socio. Qui abbiamo avuto forse le discussioni più difficili, sia perché ci vedevamo costretti ad astrarlo dal nostro ruolo di soci; sia perché la definizione del ruolo di Project Manager ci appare come il più evidente riflesso della cultura e della maturità aziendali.
Per noi, un Project Manager non può non avere un background da Designer, perché non saprebbe gestire qualcosa che non conosce. Gli strumenti di organizzazione e di gestione propri del Manager non sono adeguati se non tengono conto delle peculiarità del nostro mestiere. Per Tangible, abbiamo pensato al ruolo del Project Manager come un pacchetto di competenze e responsabilità da aggiungere a quello del Designer.
In termini di definizione del ruolo, il Manager lavora al servizio del suo team, non lo gestisce. Informa, filtra, anticipa, abilita: sono queste le parole chiave nella pacchetto di competenze del Project Manager.
Non è una promozione, ma un percorso professionale che trova il suo equilibrio su responsabilità trasversali, più che su competenze verticali.
Non sappiamo come evolverà la nostra matrice di ruoli, ma per com'è fatta oggi in Tangible non esistono posizioni per il ruolo di Project Manager.
Designing teams
La definizione dei ruoli in Tangible per noi è stato ovviamente più un esercizio di design che un'applicazione di un modello d'impresa. Con questo intendo dire che non lo abbiamo fatto a tavolino, ma nel modo per noi più naturale e cioè lavorando con le persone, imparando dall'esperienza e iterando sugli esperimenti. Abbiamo imparato lezioni che difficilmente avremmo appreso applicando schemi, tra cui per esempio l'importanza di avere team fatti da persone senior e nuovi arrivi; oppure di avere un buon equilibrio di uomini e donne.
La nostra matrice dei ruoli è diventato uno strumento che ha due facce: una aiuta noi soci a vedere come siamo fatti, in cosa siamo competenti, in cosa dobbiamo crescere rispetto a nostri obiettivi d'impresa e come fare recruiting; l'altra ci aiuta a supportare i nostri colleghi nei loro percorsi di crescita individuali.
Da quando abbiamo creato la nostra matrice di ruoli, stiamo provando a usarla come assessment in fase di recruiting. Un candidato per l'attuale ruolo di UX Designer, per esempio, viene intervistato in modo da capire se ha più il profilo del Ricercatore o dell'Interaction Designer. Questo ci è di grande aiuto per capire se è il tipo di persona che stiamo cercando, come e in quale team inserirla e quali aspettative di crescita ha.
Open points
Scrivevo che questo tipo di attività non potrà mai concludersi. Se dovesse succedere, vorrebbe dire che Tangible ha smesso di esprimere la sua capacità di crescere e adattarsi. Ci sono ruoli che dobbiamo ancora mettere a fuoco bene e ci saranno ruoli che emergeranno o cambieranno profondamente. Oggi la struttura di questa matrice ci sembra racconti il tipo di azienda che siamo oggi e quella che ambiamo a diventare entro pochi anni.
Siamo consapevoli che almeno su 2 punti dobbiamo prepararci a dare risposte chiare:
- gerarchia: quando le persone crescono e si assumono più responsabilità, è indispensabile introdurre alcune logiche di relazione basate sulla gerarchia? Se sì, possono essere dosate in modo che non snaturino il tipo di relazioni sociali che vogliamo per Tangible?
- trasparenza economica e retribuzioni: la crescita professionale dev'essere accompagnata da una crescita retributiva. Quanto è possibile essere trasparenti su questi temi? Lo scrivo pensando che una crescita di questo tipo può essere non solo economica. Questo spazio di negoziazione è soggettivo e sensibile in termini di privacy.
Ringraziamo Agile Business Day per aver accettato il nostro talk e averci dato la possibilità di raccontare la nostra esperienza.
Ringraziamo anche tutti coloro che ci hanno ascoltato all'Agile Business Day e quelli che ci hanno scritto per scambiarci informazioni. Il vostro feedback è prezioso, se avete esperienze simili o vi state misurando con temi di questo tipo, siamo felici di conoscere la vostra opinione.
Per approfondire
- Leading Design Conference
- Adaptive Career Design e Talent Canvas, di Marco Calzolari
- Shapes of UX designer, di Jason Mesut
- The imposter, di Pablo Stanley
- The best teams? Newbies and veteranes together, di Davide Casali
- Management is a career change, di Davide Casali
Foto di Enrico Carollo