Thinking
Fare ricerca nei momenti di cambiamento: l’esperienza della didattica a distanza
Un’opportunità da cogliere
In questi giorni si sta parlando molto di scuola e, tra i tanti elementi di discussione, ce n’è uno che sembra interessare particolarmente gli insegnanti, le famiglie e gli stessi studenti: l’eventualità che si debba svolgere ancora la didattica a distanza.
Con didattica a distanza (o DAD) si intende quella modalità di insegnamento che permette ad alunni e docenti di proseguire il loro percorso di formazione e apprendimento anche se fisicamente distanti grazie a strumenti di videoconferenza come Zoom o Google Meet. Pur non essendo del tutto nuova per alcune scuole Italiane, la DAD è diventata obbligatoria l’8 Aprile 2020 a causa dell’emergenza sanitaria di COVID-19 e si è protratta fino a giugno, interessando oltre 8 milioni di studenti e circa 835 mila docenti.
Proprio durante quel periodo io e il mio collega Manuele Forcucci stavamo organizzando gli ultimi dettagli per un progetto di ricerca qualitativa con il nostro cliente Zanichelli editore, che sarebbe dovuta iniziare di lì a qualche giorno. L’obiettivo dell’indagine era capire da una trentina di insegnanti distribuiti su tutto il territorio italiano, soprattutto delle scuole superiori, se e come utilizzavano i libri digitali durante la loro attività di docenza.
Ci siamo subito resi conto che avevamo la grande opportunità di vedere in tempo reale quali cambiamenti stava portando l’introduzione della didattica a distanza nella vita quotidiana di docenti e studenti. In accordo con Zanichelli, abbiamo rimodulato gli obiettivi della ricerca e lo script delle interviste aggiungendo una parte dedicata a comprendere come questa contingenza stava impattando sul lavoro degli insegnanti.
In particolare, volevamo capire:
- come stava cambiando la lezione;
- quali nuovi problemi stavano affrontando gli insegnanti;
- quali nuovi bisogni stavano emergendo da parte dei docenti;
- quale futuro si stava prospettando per il post-DAD.
La ricerca, svolta nel periodo compreso tra 28 aprile e il 14 maggio, ha portato alla luce diversi aspetti legati alla didattica a distanza: da quelli più pratici ad altri più emozionali e relativi al rapporto docente-alunno. Per noi, team di Tangible, è stato fondamentale condividere queste informazioni con il cliente in modo da avere la giusta consapevolezza nel prendere le decisioni legate al prodotto, passando in rassegna tutti gli aspetti ad esso legati (funzionalità, interfaccia, tecnologie, ecc).
Reduci da questa esperienza, la nostra idea circa l’importanza di svolgere la ricerca all’interno del processo di progettazione di un prodotto o servizio digitale si è radicata ancora di più. Se infatti la riteniamo uno step importante in condizioni normali, essa diventa fondamentale nei momenti di cambiamento perché permette di capire cosa provoca nelle persone un determinato avvenimento, quali nuovi comportamenti genera, quali paure e bisogni fa emergere. Tutto ciò consente di progettare servizi e prodotti realmente utili a coloro che li utilizzeranno.
Vogliamo restituire alcune evidenze particolarmente interessanti emerse dalla nostra ricerca affinché possano essere uno stimolo di discussione o magari essere utili a chi, come noi, si trovasse ad affrontare la progettazione di strumenti digitali legati alla scuola. Nell’articolo non emergeranno alcuni dei temi “caldi” su cui si è discusso e si continua a discutere riguardo alla DAD come, ad esempio, il problema dell’abbandono scolastico da parte di alcune categorie di studenti (per approfondire leggi il report preliminare di Indire). Teniamo infatti a precisare che la nostra ricerca non è da intendersi come esaustiva dato che si è concentrata ad indagare unicamente il punto di vista dei docenti, in particolare quelli delle scuole superiori.
La lezione durante la DAD
Nuove tempistiche e strumenti
La lezione ha subito un forte cambiamento; ne è cambiata la durata, arrivando ad essere al massimo di 30 - 40 minuti. La frequenza delle lezioni è calata drasticamente, riducendosi a una o due volte a settimana, a seconda della materia.
Molti degli strumenti utilizzati fino a quel momento sono diventati di colpo inadeguati e si è dovuto cercarne di nuovi prettamente digitali (computer o tablet), ancora poco conosciuti e poco utilizzati da una fascia relativamente considerevole di docenti. La classica lezione frontale svolta in videoconferenza è stato il primo naturale adattamento a questo nuovo contesto che però ha iniziato a vacillare dopo poche settimane. I motivi che abbiamo rilevato sono stati i seguenti:
- difficoltà da parte ragazzi nel rimanere seduti davanti al computer per molto tempo;
- assenza di feedback verbale e non verbale da parte dei ragazzi, a causa di webcam e microfoni spenti;
- disagio per il docente nello svolgere lezioni paragonabili a monologhi;
- riduzione del tempo di lezione.
La soluzione più comune e giudicata essere la più efficace è stata la videolezione registrata. In pratica, il docente registrava sé stesso mentre spiegava un argomento mostrando alcune slide o materiali digitali direttamente dallo schermo del suo computer. Dopodiché inviava la registrazione ai ragazzi chiedendo loro di guardarla in autonomia e preparare domande o richieste di chiarimento da discutere assieme. Questa modalità ha avuto un grande successo poiché delegava la comprensione dell’argomento al singolo studente sfruttando invece i momenti di lezione sincrona per confronti e approfondimenti con tutta la classe.
Nuove ritualità
Oltre a tutti questi aspetti organizzativi e pratici, con la didattica a distanza sono nate alcune nuove ritualità. La più significativa è legata al momento iniziale della lezione in cui la domanda “Come state?” ha assunto tutt’altro peso rispetto a prima. Dal dedicargli distrattamente solo pochi istanti si è passati a farlo diventare uno step fondamentale in cui cercare di ristabilire, anche se solo virtualmente, quel legame tra il professore e l’alunno e tra la classe stessa.
Alcuni docenti, particolarmente attenti al rapporto umano con i propri studenti, hanno utilizzato strumenti non scolastici come Whatsapp creando, per ogni loro classe, una chat di gruppo in cui veicolare messaggi motivazionali o semplicemente per augurare buongiorno.
I problemi e i nuovi bisogni dei docenti durante la DAD
Un nuovo significato dell’espressione “Nativo digitale”
La problematica emersa in maniera più evidente dalla nostra ricerca riguarda la difficoltà (e in alcuni casi proprio l’impossibilità) da parte dei ragazzi di seguire le lezioni online.
Le cause sono da ricercare:
- nella mancanza di device adeguati (computer o tablet), soprattutto da parte di studenti provenienti da situazioni socio-economiche difficili;
- nei problemi relativi alla connessione internet di casa;
- nella bassa alfabetizzazione digitale dei ragazzi.
Quest’ultimo punto ha stupito molto gli insegnanti, abituati a pensare ai propri studenti come “Nativi digitali”, in grado di svolgere qualsiasi operazione che richieda l’utilizzo della tecnologia. E invece, non è andata proprio così: alle richieste “Installate il programma Zoom” o “Inviatemi questo compito per mail” una buona fetta di ragazzi è andata letteralmente in crisi.
Molti di loro non avevano mai acceso prima un PC e tanto meno utilizzato programmi o applicazioni desktop. Queste difficoltà hanno portato i docenti a dedicare del tempo per mostrare loro come si svolgevano alcune azioni utilizzando il computer, in modo da renderli autonomi. Grazie a questo episodio i professori si sono resi conto di come le abilità digitali dei ragazzi ruotino quasi unicamente attorno allo smartphone e, in particolare, al mondo dei social, della messaggistica e dei giochi. Nel momento in cui devono cambiare device si trovano spaesati e in difficoltà anche nello svolgere semplicissime azioni come, appunto, inviare una mail. Evidenze di questo tipo sono emerse anche in un’altra nostra ricerca passata, come descritto nel blogpost “Perché per progettare serve la ricerca: un esempio reale”
I limiti della distanza
La mancanza di un contatto fisico e soprattutto visivo con i propri studenti durante la lezione è stato un grosso problema per i docenti. Ci raccontavano di quanto fosse importante, quando si era ancora in classe, controllare gli sguardi dei ragazzi e le loro espressioni durante la spiegazione per capire se e quanto un argomento fosse stato compreso. Questo “check” era fondamentale per passare ad un altro argomento o per soffermarsi ancora un po’ su quello appena spiegato.
La distanza fisica, i problemi di connessione durante le videolezioni e le webcam dei ragazzi non sempre accese hanno impedito ai docenti di avere questo feedback non verbale. I risultati non si sono fatti attendere: ci sono stati diversi disallineamenti tra l’idea dell’insegnante e l’effettiva comprensione da parte della classe con un conseguente calo dei voti.
Nuovi criteri di valutazione
La valutazione, in questo nuovo contesto di DAD, ha rappresentato un argomento di discussione molto caldo; gli interrogativi dei docenti ruotavano attorno al “cosa” si sarebbe dovuto valutare (contenuti o competenze?) e al “come” riuscire a farlo (interrogazione, verifiche o quiz online?).
Ci raccontavano di interrogazioni via Zoom con i genitori, dall’altro lato dello schermo, impegnati a suggerire le risposte al figlio o di quiz online in cui il primo studente che finiva passava i risultati a tutta la classe tramite chat. Consci di tutte queste difficoltà, i docenti hanno creato dei nuovi criteri di valutazione, sganciati dal voler capire quanti e quali contenuti il ragazzo aveva appreso ma indirizzati invece a valutarne le competenze (anche digitali), la partecipazione e il grado di autonomia nell’apprendimento e nelle attività richieste.
Aumento del carico di lavoro per i docenti
“La nostra scuola è stata tra le prime in Italia ad essere partita con la didattica a distanza nei primi giorni di lockdown”.
Questa è stata la frase che ci siamo sentiti ripetere più volte, con grande orgoglio e fierezza, dai professori intervistati. Ci raccontavano di quanto, sin dai primi giorni, il desiderio di raggiungere i propri studenti fosse forte e ha trainato tutta una serie di azioni organizzative (es. scelta della piattaforma per videolezioni), burocratiche (es. questioni relativa alla tutela della privacy durante le lezioni online) e di formazione personale (es. imparare a creare una videolezione o ad usare Zoom).
L’ultimo aspetto ha rappresentato un problema soprattutto per quei docenti in là con l’età o con un approccio alla didattica più tradizionalista, non abituati ad utilizzare strumenti digitali per le loro lezioni. Hanno quindi dovuto investire ore e ore del loro tempo in attività di approfondimento, guardando tutorial online o chiedendo aiuto ai colleghi più esperti.
Il carico di lavoro dei docenti è aumentato notevolmente anche perché loro stessi sollecitavano i ragazzi a esporre dubbi, domande o richieste di approfondimento in asincrono, attraverso i vari canali di comunicazione docente-alunno.
Un’involontaria spinta gentile per superare la timidezza
I professori ci hanno raccontato di aver osservato un miglioramento nei risultati scolastici di alcuni studenti dal carattere introverso e meno inclini ad esporsi in aula. Secondo loro, la possibilità di interagire con gli altri compagni da dietro a uno schermo e di interfacciarsi direttamente con il docente attraverso chat o e-mail per chiarire eventuali dubbi li ha aiutati a vincere l’imbarazzo che provavano invece nel contesto di scuola normale.
Aspettative post didattica a distanza
“Non tutto il male viene per nuocere”
Durante la ricerca ci siamo stupiti di come, nonostante la molteplicità dei problemi incontrati, i docenti ci dicessero in maniera unanime come la DAD li avesse spronati ad utilizzare le risorse digitali che avevano sempre accantonato, soprattutto per mancanza di tempo.
Per alcuni è stata una vera e propria scoperta, per altri invece un’occasione per approfondire la conoscenza di archivi digitali online (YouTube, archivi Rai, siti di case editrici, ecc) e creare lezioni ancora più efficaci.
La videolezione registrata è stata talmente apprezzata come metodologia che molti docenti si aspettano di utilizzarla nuovamente, una volta rientrati in classe.La percezione comune è che la DAD abbia dato una forte spinta verso la digitalizzazione non solo ai docenti e agli studenti ma anche alle alle loro famiglie, che hanno dovuto prestare molta più attenzione, cura e risorse, anche economiche, permettendo ai loro figli di continuare a formarsi.
La buona ricerca è iterativa
La ricerca svolta durante il periodo di lockdown ci ha permesso di avere una fotografia di ciò che stava accadendo all’interno del contesto scolastico italiano e i risultati ottenuti sono stati fondamentali per sviluppare supporti sempre più adeguati ai tempi e ai bisogni emergenti. Come in ogni fase di cambiamento però, le persone mettono in atto diverse strategie per reagire e, alla fine, trovano il modo per adattarsi. Non è detto quindi che i risultati della ricerca ottenuti a marzo-aprile 2020 sarebbero gli stessi se rifacessimo la ricerca ora, nelle scuole in cui, per questioni di spazio, si continua a fare didattica a distanza.
Questo progetto ci ha messo nuovamente di fronte all'evidenza che le tecnologie sono utili quando sono al servizio delle persone, specie quando le aiutano ad affrontare novità e difficoltà. Una tecnologia che mette le persone al centro ha bisogno di rimanere aggiornata costantemente rispetto alle loro necessità. È per questo motivo che nei nostri progetti, soprattutto quelli più duraturi, organizziamo sessioni di ricerca che si ripetono periodicamente per capire come le persone cambiano e come di conseguenza i nostri prodotti o servizi possono adattarsi al meglio alle loro esigenze.