Thinking
Il ruolo della UX: orientare l’AI nella direzione giusta
Negli articoli precedenti abbiamo condiviso alcuni dei takeaway emersi dal confronto con Josh Clark e Veronika Kindred sugli scenari futuri di design e AI. Ma il punto più importante — quello che guida anche il nostro approccio all’innesto dell’intelligenza artificiale nei progetti — è uno: usare l’AI per risolvere problemi davvero rilevanti.

In un recente paper sulla Customer Experience nell’era dell’AI di KPMG vengono citati alcuni rischi dell’implementazione dell’AI nei progetti di innovazione, tra cui mi colpiscono questi in particolare:
- Narrow definitions of value focused on cost, missing customer benefits
- Multiple Al models and "use cases" lead to disconnected experiences
- IT-first Al strategies, without mature business or customer leadership
Il nostro approccio human-centered all’innovazione ci spinge a comprendere il contesto prima di attivare un cambiamento tecnologico, e visti i punti appena menzionati ne siamo sempre più convinti.
Soprattutto con tecnologie emergenti e in momenti di incertezza di mercato, è fondamentale anche calibrare bene gli investimenti e governare i rischi.
Per farlo, la prima cosa da chiarire è capire in che fase di innovazione ci troviamo.
Capire dove siamo: leggere il contesto prima di progettare
Non si tratta solo di partire dal problema, ma di avere una visione nitida del sistema in cui ci muoviamo. Come ho scritto in un precedente post di questa serie, “Build the right product before building the product right”.
O messo in altre parole, e citando un articolo molto interessante letto recentemente, in un’epoca in cui il costo delle risposte tende a zero, diventa di gran lunga più importante la qualità delle domande.
Prima di tutto, in che fase di innovazione ci troviamo?
Stiamo aggiungendo dell’intelligenza in un prodotto o servizio esistente, ne stiamo creando uno nuovo con porzioni di AI o stiamo provando a modellare un prodotto AI-native?
E ci troviamo in una strategia di efficienza e automazione, oppure vogliamo migliorare la qualità e la Customer Experience, oppure siamo in un ambito di reinvenzione? Questo ci aiuta a impostare le giuste aspettative.

Ovviamente non può mancare la mappatura di chi sono i nostri utenti (o meglio ancora, gli attori del sistema, non necessariamente solo utenti), quali sono i contesti d’uso, i task e le azioni, e tutte le informazioni per avere una chiara prospettiva del contesto in cui stiamo agendo.
L’attività di problem-framing è sempre stata importante, ma in questo caso lo è doppiamente per evitare di puntare l’AI verso qualcosa di basso valore oppure aspettarsi un risultato magico senza avere le condizioni di contesto necessarie. Una volta definito il perimetro, possiamo iniziare a cercare spazi di valore per l’innesto dell’AI.
Dove può fare la differenza l’AI?
Soprattutto in situazioni (le più comuni) di innesto di funzionalità AI in prodotti e servizi esistenti, il passo successivo è identificare le opportunità. Anche in questo caso il framework concettuale proposto da Josh Clark è particolarmente utile a guidare il ragionamento:
- quali risultati vogliamo ottenere?
- che cosa oggi crea frizione o li ostacola?
- quali sono le ipotesi che abbiamo formulato?
- in che modo l’AI può aiutarci?

Un modo ulteriore consiste nel fare emergere idee e spunti sulla base di una Customer Journey dell’esperienza attuale, identificando i punti in cui ci sono possono essere opportunità di automatismi, di intelligenza o di personalizzazione. Questo sia per risolvere pain-points che per migliorare altre porzioni dell’esperienza, o ancora per amplificare un vantaggio competitivo esistente. Non ci limitiamo a risolvere problemi: possiamo anche immaginare scenari evolutivi e più ambiziosi.
In questa fase serve una buona dose di ragionamento divergente e co-progettazione, per immaginare anche scenari nuovi e uscire dai binari della mera applicazione di buone pratiche e modelli consolidati di interazione. Qui è dove possiamo gettare i semi di qualcosa di nuovo, ma aderente al contesto che abbiamo analizzato in precedenza.
Durante la divergenza e la generazione di idee è utile anche annotare ogni ragionamento emergente in termini di fiducia e trasparenza. Come possiamo fare in modo che per le persone sia facile e desiderabile adottare questa soluzione? Se ci sono dei punti di frizione, come possiamo smussarli? Ha valore smussarli oppure sono funzionali a richiamare l’attenzione? Quanta autonomia vogliamo conferire al sistema?
C’è spesso una soglia sottile tra rendere un’esperienza semplice e renderla di valore, e favorire sempre l’efficienza non è detto che sia sempre la strategia più adatta.
Come selezioniamo le idee su cui puntare?
Attraverso prioritizzazione e valutazione di impatto, selezioniamo le idee e decidiamo su quali concentrarci.
A seconda di contesto e strategia potremmo voler scegliere quelle più radicali sebbene ad alto sforzo, oppure le cosiddette quick-win, più a basso sforzo e breve termine. In molti casi, soprattutto di prodotti e servizi esistenti, può essere costruttivo pensare in termini di idee a basso-medio sforzo, ma realmente utili e fattibili. È dove possono nascere scenari di Quiet Intelligence o Casual Intelligence.
A questo punto dovremmo avere qualche informazione in più per definire che cosa stiamo cercando di costruire, e poter delineare qualche scenario. Questo ci aiuta a ragionare anche sui dati (senza i quali non andiamo molto lontano) e sulle tecnologie abilitanti.

Questa parte del processo è quella in cui è davvero imprescindibile avere un esperto di dominio al tavolo.
Noi affrontiamo queste conversazioni insieme agli amici di LAIF, che supportano l’approfondimento tecnologico, sui dati e sui modelli da utilizzare.
Testare prima di sviluppare
Entriamo quindi nel campo dei prototipi e dei proof of concept (POC), ma ci entriamo a valle di un lavoro di problem-framing e di divergenza, che ha generato sia conoscenza condivisa che idee e concept (hey, le idee lasciate indietro sono anche un ottimo backlog per il futuro 😉).
Quali sono le ipotesi che abbiamo formulato? Come possiamo testarle? Quali sono i punti di massima incertezza su cui abbiamo bisogno di raccogliere evidenze? Quali sono i problemi tecnologici su cui vogliamo essere sicuri di avere una soluzione?
Queste sono alcune delle domande che possono aiutare a guidare la scelta della modalità di prototipazione o POC più efficace, e che ci possa fornire le risposte che cerchiamo prima di proseguire o estendere lo sviluppo della soluzione.
Adoption e organizzazione: il vero banco di prova
È un punto da aggiungere ai ragionamenti, sia che stiamo progettando una soluzione lato utente/cliente che lato staff/employee. Anche perché senza adozione, anche la soluzione più tecnicamente brillante si rivelerà un investimento vano.
Nel primo scenario si tratta di considerare la capacità e prontezza degli utenti rispetto ad adottare nuove feature, e a fidarsi del sistema, bilanciando semplicità d’uso con attenzione, mole informazioni con capacità di scelta.
Nello scenario di soluzioni interne all’azienda è ancora più delicato, perché l’adozione si interseca con dinamiche organizzative e con temi di competenze. Anche in questo ambito può aver senso pensare ad un POC, o un esperimento su scala ridotta per scalarlo man mano, e con una strategia chiara.
È probabilmente una fase di lavoro più lenta rispetto a quelle toccati in precedenza, ma rilevante per aumentare le probabilità di successo del progetto.

Vuoi iniziare? Abbiamo un workshop dedicato
Alla luce di questi scenari, ci siamo chiesti: come designer, come possiamo aiutare aziende ed enti a innestare l'AI in modo responsabile, utile e sostenibile? In Tangible, stiamo lavorando su un approccio che parte dalla comprensione del contesto, attraversa fasi di co-progettazione e prioritizzazione, e arriva fino alla prototipazione e all’adozione.
Tutto questo processo è alla base del workshop che abbiamo ideato per aiutare i team a orientarsi tra opportunità, tecnologie e adozione.
Se stai esplorando il ruolo dell’AI nel tuo prodotto o servizio, o stai progettando qualcosa di nuovo e di “intelligente”, parliamone.